Oramai l’€ è in vigore dal 2002, avendo sostituito la lira dal 1 marzo di quell’anno, dopo un breve periodo di “doppio” valore legale.
Eppure, ancora oggi l’idea confederativa risulta complicata e oggetto di continue trattativa, a conferma di punti di vista spesso contrapposti tra i 27 paesi membri, frutto di storia e culture diverse: molte nostre città medioevali sono circondate da mura, simbolo da una parte di necessità di difendersi dagli “invasori”, ma anche di chiusura verso l’esterno e timore di cambiamento.
Dopo 4 anni di sospensione, dal 2024 tornerà in vigore il patto di stabilità, “collante” fondamentale per la vita della UE. Quattro anni in cui i vari stati hanno potuto redigere i propri bilanci senza essere obbligati a osservare i vincoli stabiliti dagli accordi “fondativi” di Maastricht. Anni in cui sono stati varati piani (Sure, PNRR -Next Generation EU, Fondi strutturali) che hanno “tenuto in piedi” l’Europa.
Il ritorno alle “regole”, per quanto in maniera non così rigorosa come l’iniziale Patto di stabilità prevede, è oggetto, come quasi sempre succede, di pareri contrastanti.
La presentazione, avvenuta ieri, da parte del Commissario Gentiloni e del Vice-Presidente Dombrovskis, ha sostanzialmente confermato le previsioni: i Paesi, soprattutto quelli maggiormente “schiacciati” dal debito dovranno riprendere il percorso di “rientro”, con piani di lavoro che avranno un orizzonte temporale compreso tra i 4 e i 7 anni. Periodo alla fine del quale il peso del debito pubblico dovrà essere inferiore a quello iniziale (in realtà dovrebbe esserlo anno dopo anno, seguendo una “traiettoria” ben precisa). Condizione essenziale è che il rapporto deficit-PIL rientri nei parametri del 3% annuo. Tanto per fare un esempio, in questi anni il deficit italiano è stato ben superiore a quella percentuale: si va dal 9,7% del 2020, al 9% del 2021, all’8% del 2022 per arrivare ad una previsione del 4,5% per l’anno in corso (per il 2024, secondo le stime governative, dovremmo attestarci al 3,7% per poi passare, finalmente, al 3% nel 2025). Ovvio che, con numeri di questa portata pensare di rientrare dall’attuale 144% (la percentuale debito/PIL, data dai 2.800 MD di debito) è assolutamente impensabile, a maggior ragione se non è accompagnata da una crescita adeguata (ma le stime ci dicono che la crescita media sarà di poco superiore all’1% all’anno da qui al 2026).
Ecco quindi che i correttivi imposti dalla UE in caso di “sforamento” del deficit diventano oggetto di critica e ulteriori contrapposizioni.
Di fatto la proposta della Commissione (perché di questo si tratta, dovendo ancora essere sottoposta all’approvazione degli Stati membri) prevede che dovrà essere attuato un aggiustamento dei conti di bilancio pari allo 0,5% del PIL all’anno fino a quando il deficit rimarrà superiore al 3%. In “soldoni”, per il nostro Paese significa che, nel caso in cui si prendesse ad osservazione il periodo più breve – 4 anni – l’intervento dovrebbe essere pari a circa € 15 MD, pari allo 0,85% annuo, ovvero di circa 8 MD – vale a dire lo 0,45% per anno – nel caso si osservasse un periodo di 7 anni. Nel caso in cui i Paesi non rispettassero la “traiettoria” potrebbero scattare procedure da parte della UE (peraltro ipotesi alquanto remota). Insomma, si parla, per l’Italia, di ulteriori € 60 MD di obiettivo di risparmio in 4 o, come ovviamente sarà, in 7 anni. Una proposta che è fonte di qualche contrasto tra il nostro Governo e l’Europa: l’Italia, infatti, avrebbe voluto che gli investimenti per realizzare il PNRR (già fonte di polemiche nelle ultime settimane) fossero esclusi dal computo per la definizione del rapporto deficit/PIL, cosa che invece la UE ha inserito. Il che ovviamente rende ancora più fondamentale ottenere i finanziamenti previsti dal PNRR: senza quelli pensare alla crescita diventa un compito per sognatori.
Ieri mercati ancora incerti a causa delle notizie relative nuovamente alla First Republic Bank, le cui azioni hanno perso, dopo il calo di martedì, un ulteriore 30%, precipitando a $ 4,78, minimo storico. La preoccupazione è che senza intervento statale (cosa al momento improbabile) la banca debba “portare i libri in tribunale”. In considerazione delle dimensioni dell’istituto (più piccolo della Silicon Valley Bank) il rischio contagio dovrebbe essere escluso, pur facendo passare notti poco tranquille a molti operatori.
Questa mattina tutti gli indici asiatici stanno dando segnali di tenuta, contraddistinti tutti dal segno più: a Tokyo il Nikkei si appresta a chiudere a + 0,15%. Meglio fanno Shanghai (+ 0,67%) e Hong Kong (+ 0,48%).
Futures positivi a Wall Street, con rialzi intorno allo 0,5%, mentre sembrano incerti quelli europei.
Continua la debolezza del petrolio, con il WTI che si è portato a $ 74,55 (questa mattina dimostra una pallida reazione, con un + 0,24%).
Gas naturale Usa a $ 2,322.
Ai minimi da 14 mesi quello europeo, con il megawattora a € 38,55.
Oro a $ 2.011m + 0,67%.
Leggero recupero dello spread, a 186,9 bp, per un rendimento del BTP a 4,26%.
Treasury a 3,43%, sui livelli di ieri.
€/$ a 1,1054.
Torna in auge il bitcoin, che “vola” oltre i $ 29.000 (+ 2,14%).
Ps: se la Premier League è la “religione” del calcio, la NBA lo è per il basket (se sulla prima qualcuno potrebbe storcere il naso, sulla seconda credo sia impossibile). Non può che lasciare a bocca aperta, quindi, apprendere che, per il campionato 2022/23 il miglior esordiente in assoluto (rookie) è un italo/americano, Paolio Banchero, 20 anni, un “romano in America”. Gioca negli Orlando Magic e, al suo primo campionato NBA, ha una media di 20 punti a partita.